Rimini, 20 agosto 2007
Il marketing dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di non essere una scienza esatta.
Il marketing vive di creatività, rivoluzioni, stravolgimenti.
Ma, secondo alcuni, molti uffici del settore operano investendo energie economiche ed umane semplicemente con il fine di esistere.
Il marketing è nato il giorno dopo la scoperta del posizionamento di mercato: una volta analizzato il rapporto tra domanda ed offerta, si presenta la necessità di capire come meglio posizionare il prodotto che si desidera piazzare.
E quindi si pensa al prezzo, al packaging, alla pubblicità, etc.
I luminari del marketing (mi ricordo di Claudio Nutrito), già a metà degli anni 80 avevano lanciato l’allarme verso la tendenza di sostituire il posizionamento con la “banale guerriglia”, ovvero: si investe semplicemente sul posizionamento che va di moda, a prescindere dalle necessità del prodotto.
Gli uffici di marketing, che gestiscono i budget di grosse aziende, poco tempo fa sembra abbiano “scoperto” Second Life e si sono buttati a capofitto.
Con risultati pessimi.
E così Wired – l’autorevole rivista nata da menti illuminate del MIT di Boston e dove tra gli altri scrive Nicholas Negroponte – si è interessato di quanto stava succedendo, pubblicando l’articolo “quel bluff chiamato Second Life”.
Secondo Wired – basandomi sul pezzo scritto da Jaime D’Alessandro il 13 agosto su repubblica.it – Second Life ormai vive solo sulla carta stampata.
L’originale, quello aperto in Rete nel 2003 dalla Linden Lab, è un luogo solitario pieno di cattedrali nel deserto sempre vuote.
Diecimila isole, campionario di edifici strabilianti messi in piedi da multinazionali di ogni dove per attirare orde di consumatori, tutte o quasi abbandonate.
Sembra infatti che gli abitanti di Second Life, appena 300 mila, preferiscano di gran lunga affollare sex shop e discoteche.
Ma solo 70 alla volta: assembramenti maggiori i server proprio non possono gestirli.
L’articolo è apparso sul numero di agosto e mette in dubbio i dati forniti dalla Linden Lab come già aveva fatto l’inglese The Guardian il 21 dicembre scorso.
Dei quasi 9 milioni di residenti, circa l’85% sarebbero entrati una sola volta in questo mondo virtuale, senza tornarci più.
Dei restanti bisognerebbe depennarne almeno la metà, perché avere due o più “Avatar” in Second Life è una pratica comune.
Il che porta a una popolazione reale di 300 mila persone circa.
Poca cosa rispetto ad altri mondi virtuali frequentati da milioni di utenti, nulla se paragonata alle comunità che animano espressioni del Web 2.0 come YouTube (chi non c’è ancora stato?) e Flickr, il sito multilingue di proprietà di Yahoo! che permette ai propri iscritti di condividere le proprie foto con la comunità di fotoamatori più grande del mondo (ogni minuto più di duemila nuove foto inserite da parte dei suoi 7 milioni di utenti).
E pensare che aziende del calibro di Coca Cola, Nike, Ibm, Microsoft, Nissan, Sony, hanno speso milioni per costruire le loro splendide e desolate sedi virtuali in Second Life.
Si va dai 10.000 dollari per una presentazione e un concerto, al mezzo milione all’anno per un’isola superaccessoriata e colma di grattacieli sfavillanti, almeno stando al prezzario della Electric Sheep o della Milions of Us, specializzate nel business delle costruzioni virtuali.
“Mi sembrava di essere entrato nel film Shining. Non c’era nessuno e non c’era nulla da fare” ricorda Michael Donnelly, capo della divisione interactive marketing della Coca Cola. Eppure Donnelly ha comunque deciso di spendere centinaia di migliaia di dollari per il Coke’s Virtual Thirst Pavillion.
Perché?
“Perché di Second Life se ne parla molto”, ammette.
Ma nonostante la popolarità sui media, è un investimento che non sembra avere molto senso.
Soprattutto se si pensa che lo stesso Donnelly ha sponsorizzato un concorso su Yahoo! Video guardato da quasi 6 milioni di persone, mentre sulla sua isola virtuale di Second Life passano sì e no 15 utenti al giorno.
“Molti dirigenti vivono nel terrore”, spiega Joseph Plummer della Advertising Research Foundation, che dagli anni ’60 studia il mondo della pubblicità.
“Sono cresciuti con un modello elementare, quello degli spot da trenta secondi da mandare in televisione, che oggi non funziona più”.
Di qui la necessità di trovare nuovi veicoli per raggiungere i consumatori.
E non sapendo che pesci prendere, si buttano a capofitto in qualunque cosa gli capiti a tiro anche se non ne capiscono limiti e potenzialità.
“Ecco come si è arrivati ad avere due Second Life diversi”, sintetizza Mario Gerosa, giornalista che frequenta l’universo della Linden Lab da anni e sul quale ha scritto un ottimo libro (Second Life, edizioni Melteni):
“Una versione sul Web e una sui media. Ed è la seconda la più interessante. E’ nata a ottobre scorso quando si venne a sapere che l’agenzia stampa Reuters stava aprendo una sua sede su Second Life. Poi arrivò la notizia che Anshe Chung, una giocatrice cinese che vive in Germania, era riuscita a guadagnare 1 milione di dollari vendendo proprietà immobiliari. Da allora il flusso di articoli non si è mai fermato, ingrandendo e modificando la realtà di Second Life. A quel punto aziende grandi e piccole, musei, politici, televisioni, etichette musicali, case cinematografiche hanno iniziato a spendere soldi senza alcun criterio alimentandone il mito al di fuori della Rete”.
Insomma, il MONDO VIRTUALE di Second Life sarebbe il primo ad essere diventato un MONDO DI FANTASIA.
E non è esattamente la stessa cosa.