Qualche sera fa ho assistito al concerto di Zucchero Sugar Fornaciari.
Un gran bel concerto.
L’avevo già visto nell’86, sempre qui a Rimini: allora, facevo parte dell’organizzazione dell’evento.
In quell’occasione, Zucchero (era il periodo di “Solo una sana e consapevole libidine…”) divise il concerto con Joe Cocker e Miles Davis.
Ho voluto trovare il tempo di scrivere queste righe, perché nell’esibizione dell’altra sera ho notato diverse cose curiose, di cui una veramente strana, che però citerò alla fine.
Provo a contestualizzare…
Il primo impatto scenografico è stato molto affascinante.
Il palco è stato allestito come un grandissimo baule antico (forse una vecchia valigia) che si è aperto all’inizio, per poi chiudersi nel finale, con tanto di doppia mandata di chiavi.
La scenografia non è casuale: infatti ci azzecca un casino con quell’estetica bucolica che caratterizza il suo ultimo album.
Lui, Zucchero, l’abbiamo tutti visto in gran forma, oserei dire maturo, sia sul piano artistico che su quello umano.
La sensazione che ha dato è quella di un uomo in pace con sé stesso, che ha scoperto l’orgoglio ed il valore di ripescare nei ricordi più lontani ed intimi.
In alcuni tratti, sul piano musicale, è stato un po’ il Van Morrison italiano.
Poi, ogni tanto, veniva fuori il Joe Cocker in lui: quindi blues e funk alla sua maniera.
La band?
Formidabile, neanche dirlo, mai sopra le righe: in questo è stata molto Soul.
Al concerto sono andato con Monica, ma senza Filippo: di questo eravamo entrambi dispiaciuti.
Però a fine concerto mi sono reso conto che invece di nostro figlio, avremmo soprattutto potuto pensare di portarci dietro mia madre e mia suocera: l’età media del pubblico era ben sopra i 45 anni.
Grazie a quello che ho fatto nel corso degli anni 80, posso dire di avere una certa esperienza in fatto di concerti.
L’altra sera, però, ho visto qualcosa che definirei sconvolgente.
Il palasport di Rimini – sicuramente su indicazioni della produzione – aveva nel parterre attrezzato qualche migliaio di sedie.
Nella filosofia di Zucchero, il suo concerto probabilmente vuol far vivere la dimensione dell’Auditorium e non del consueto “tutti in piedi” dei palazzetti dello sport.
La cosa strana è che, appena Zucchero ha iniziato (verso il quinto/sesto brano) a “far girare” il basso funky ed il ritmo è salito, il pubblico del parterre ha cominciato ad alzarsi in piedi e ad abbandonare i posti a sedere per recarsi nel sotto palco (tra il palco e la prima fila erano stati lasciati liberi almeno 6 o 7 metri).
Beh, fin qui nulla di strano…
Ma appena Zucchero è tornato a suonare un brano a ritmo lento, il pubblico è ritornato a sedere.
E così è stato per sette/otto volte…
Sembrava di essere al dancing!
Avete presente?
C’è il momento degli “shake”, poi arrivano i lenti…
Poi tornano gli shake e poi di nuovo i lenti.
Nel nostro caso, tutti sotto il palco, poi tutti di ritorno alle proprie sedute.
E così il concerto è stato un continuo via-vai: sembrava un hully-gully nella più grande balera di Romagna.
Beh, io, una roba così, non l’avevo mai vista.
Ma l’aspetto interessante è che tutto tornava…
Infatti nel parterre era disposto il pubblico più adulto (quelli più giovani erano sulle gradinate, dove il biglietto è meno caro) e sappiamo che stare in piedi quasi due ore per un concerto, per noi cinquantenni, è un bel sacrificio…
Mi viene in mente una statistica di qualche anno fa, dove uscì un dato incredibile…
Quell’estate, oltre il 60% delle band in tour europeo, erano composte da musicisti con un’età media di oltre 50 anni.
Parliamo di gente come Mick Jagger, Eric Clapton, Jeff Beck, John Mayall, Jan Anderson (Jetho Tull), Ritchie Blackmore (Deep Purple), Angus Young (AC-DC), David Byrne, Peter Gabriel, Robert Plant ..
Questi “la mandano ancora alla grande” (come diciamo noi in Romagna) e quando suonano, non scherzano.
Sarebbe stato interessante avere anche il dato dell’età media del pubblico: forse sarebbe un elemento utile per gli organizzatori di concerti per poter magari offrire nuovi servizi per i loro potenziali clienti… di una certa età.
Vi immaginate? Oltre alla reserved area per le Groupies, alla zona per i fan e a quella per i portatori di handicap, al concerto magari degli AC-DC ormai sarà ora di pensare anche all’area pensionati.
D’altronde, se va avanti così, gli assoli di Angus Young ce li gusteremo finché lui campa.
Mi sembra fosse Ted Polhemus, il padre dello Street Style, che ad un convegno disse: “Un rocker sarà un rocker finché avrà 90 anni“.
Non a caso il marketing sta inventando nomi sempre nuovi per definire i “cinquantineigers“: d’altronde, il mercato ha bisogno di posizionare le merci “nei cassetti giusti”…
Sempre Ted Polhemus fece notare che il termine Teenager, negli anni 50, non lo hanno coniato i sociologi…
Indovinate chi?
Neanche dirlo, sempre il marketing.
Nel 2009 è uscito un pezzo meraviglioso di J-Ax: “I vecchietti fanno Oh!”.
Nel brano ci sono spunti geniali su cosa succederà quando “la mia generazione arriverà all’età della pensione”.
Quindi J-Ax canta “dell’orchestra Casadei che suonerà i Green Day”, immagina che “avremo il guardaroba con ciò che va di moda”, che “organizzeremo gruppi da 30 per andare in Olanda con il pullman della parrocchia”, che “la mutua ci passerà i tatuaggi e i piercing”, etc.
Ma la strofa forse più importante cita:
come si fa,
come si fa,
come si fa,
ad invecchiare senza maturità…
Bene, l’altra sera ho visto anch’io i vecchietti fare Oh, e quel tocco di immaturità non ha stonato affatto: mi ha dato, al contrario, un sacco di speranza.
4 Dicembre 2011