In occasione del matrimonio di due amici, la settimana scorsa ho vissuto alcune cose che mi lasceranno il segno per un bel po’ di tempo.
In primis, la veduta della Majella, le sue vette già imbiancate e i suoi paesini arroccati.
Ero a Fossacesia, paesino sul mare in provincia di Chieti, dove l’Abruzzo è capace di sfoggiare tutti i suoi colpi migliori.
Altra cosa che mi ha colpito è stato imbattermi nel forte impatto socio-economico del matrimonio in quel territorio.
Esistono in Abruzzo tantissime strutture capaci di essere vere e proprie macchine da guerra.
La leggenda narra di coppie costrette a celebrare le nozze di mercoledì, in quanto non disponibili ristoranti nel giro di sei mesi.
Il ristorante dove è stato organizzato il pranzo di matrimonio, ospitava quel giorno 5 celebrazioni: 4 matrimoni + una festa dei 18 anni.
In Abruzzo, da quello che ho saputo, sono tante le occasioni in cui è tradizione festeggiare con grandi raduni familiari: oltre al matrimonio c’è il battesimo, la comunione, la cresima, la festa dei 18 anni, la festa di laurea e poi le nozze d’argento, quelle d’oro…
In tutto questo, la realtà economica abruzzesse mostra una capacità organizzativa straordinaria, frutto di esperienza e di vera e propria passione artigianale.
Il tutto all’interno di un giro d’affari da paura.
Ma attenzione: a prezzi assolutamente modici.
Vogliamo parlare della quantità di cibo?
Senza tediarvi in elenchi di portate, basta dire che quello che è iniziato alle 15:00 è terminato alle 21:30, per poi ricominciare con i primi piatti alle 22:00, casomai a qualcuno (e sembrava a tutti!) tornasse appetito dopo la torta nuziale…
A questo punto viene spontanea la domanda in merito alla qualità del cibo.
E qui siamo alla quarta cosa che mi ha lasciato il segno (anche sulla bilancia..).
E’ stato un pranzo di ottima qualità, con soprattutto pietanze della tradizione “mare e monti” abruzzese: mangiare è stato un piacere.
C’erano anche le aragoste: solo io ne ho mangiate quattro (eravamo circa 250 persone).
Ma veniamo al clou: la Messa.
Celebrata nella bellissima Abbazia di San Giovanni in Venere, a Fossacesia, il rito è stato sobrio e tradizionale.
Solo un particolare: dietro all’altare spuntava un giovane Kevin Costner.
Il sacerdote, amico da sempre della sposa, calamitava l’attenzione di tutti.
Capello lungo, liscio e biondo, con un lungo ciuffo disordinato che lo obbligava ogni 30 secondi ad impegnare la mano.
Sotto l’abito talare dalle grande occasioni, spuntava un jeans e un paio di scarponi neri, tipo trekking.
Deciso, spigliato, ma soprattutto autorevole, Don Ettore Luciani – parlando un po’ come Stefano Dolce – ha fatto di quella che mi aspettavo la solita Messa, un vero e proprio incontro con il significato del sacramento del Matrimonio.
Trattando nell’Omelia temi sensibili, come il significato della coppia e dell’amore, il giovane sacerdote della Diocesi di Chieti/Vasto è riuscito a creare un pathos raro, toccando corde lontane, alcune nuove, altre antiche…
Don Ettore ci ha portato dove voleva lui, ovvero dentro quel tipo di atmosfera che ha senso chiamare celebrazione, rito.
All’uscita molti – e non solo i praticanti – si sono chiesti perché la Messa non può essere sempre così.
Don Ettore ha fatto la differenza.
Quella differenza di cui la Chiesa a mio umile, umilissimo parere, avrebbe bisogno.
Ed ecco la domanda delle cento pistole: esiste un humus, ovvero terreno fertile, affinché la Chiesa possa beneficiare di tanti Don Ettore Luciani?
Per esercizio mio, ho provato a immaginare Ettore Luciani come un normale ragazzo, senza l’autorevole uniforme sacerdotale…
E, sempre per esercizio, pensavo che impatto avrei avuto se lo avessi incontrato a casa di amici.
Finché non mi avrebbero detto che era un sacerdote, l’avrei giudicato come “uno fuori dal mondo”, magari emulatore di Kakà e Cavani (un altro fuoriclasse, attaccante del Palermo), come potrebbero essere a volte giudicati quei ragazzi che girano con magliette e gadgets “Gesù è con me”.
Quella serena disinvoltura nell’approccio verso gli altri, quella pacatezza nel linguaggio e quella voglia di dare un senso anche alle cose più semplici della vita, che Don Ettore ho la sensazione sappia esprimere, avrebbero trovato in me un interlocutore sospettoso.
Avrei preso da parte qualche amico e avrei chiesto: “Senti, ma quello lì…”.
Mi vengono di getto in mente le parole di papa Wojtyla: “non abbiate paura di esprimere la vostra fede”.
Parole che, quando le sentii, non mi fecero né caldo, né freddo.
Forse (ripeto, forse) voleva significare, con traduzione terra-terra, “non abbiate paura di essere giudicati come degli sfigati”.
Mi sbaglio?
Per il mestiere che faccio, mi stimola chiedermi cosa contribuisce alla creazione dei parametri di misurazione di cosa è sfigato o no.
Se la risposta, forse ovvia, porta ai “modelli di riferimento”, beh, il ruolo della televisione e di tutti i suoi idoli e contenuti diventa determinante.
Ma se parli con coloro che la tv la pensano e la fanno, ti arriva sempre la stessa risposta: “la televisione programma quello che il pubblico vuole vedere”.
E risposta più stupida di questa non ci può essere.
Due sono le ragioni…
Da una parte il potere di persuasione dei media – lo abbiamo imparato – sappiamo che è enorme.
Da un’altra, tante vicende, come quella di Obama, ci hanno insegnato che se il contenuto è vero ed è valido, il messaggio sfonda.
Non aspiro certo ad un mondo in cui non si possa mai osare di percorrere la “wild side”, né ad una televisione dove passino contenuti da oratorio…
C’è, da parte mia, solo uno sfogo: non se ne può più di vedere su Rai e Mediaset e su migliaia di magazine quello che tutti vediamo, con conseguenze nell’estetica e nell’etica di tutti i giorni.
E poi (perdonatemi, sono a casa con il virus), quando ti sfoghi, ti viene in mente di dare addosso a tutto e tutti…
Certo, lo so, arebbe meglio mettere a posto le cose nei propri armadi: sarebbe un ottimo inizio.
Un’ultima cosa: se Don Ettore avesse assomigliato non a Kevin Costner, ma a Lino Banfi, avrei avuto lo stesso impatto?
No, sicuramente non lo stesso impatto.
Accidenti, tutto torna…
Pier
Rimini, 30 Ottobre 2009