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solo se serve

Non scopro certo nulla di nuovo se sentenzio che una delle sfide più grandi che abbiamo di fronte è quella che riguarda un possibile sviluppo senza crescita.

Il ritornello è sempre quello: il nostro stile di vita deve essere inderogabilmente più sostenibile e dobbiamo dare uno stop al modello che prevede la crescita infinita.

Ho letto Bauman.

Ho letto Latouche.

Ho ascoltato Stefano Zamagni.

Ho clickato anch’io MiPiace e ho condiviso “il discorso più bello del mondo” di Josè Mujica, il Presidente dell’Uruguay.

Ho letto qualche capitolo sulla regola di San Benedetto.

Seguo la Critical Mass

Sto insomma preparandomi il terreno per quel giorno in cui succederà il grande fatto: ovvero quando l’essere umano comincerà a bere la Coca-Cola solo quando avrà sete.

 

Credo che quell’atto lì, potrà essere identificato come il segnale di un passaggio chiave verso un diverso modello di approccio al consumo.

Da lì in poi, tutto cambierà…

Bere la Coca-Cola solo se si ha sete… comprare un telefono nuovo, solo se l’altro è inutilizzabile… acquistare una casa solo se ci vado ad abitare…

Tutto ciò non avrà a che fare con la rinuncia: si tratterà di avere un approccio culturale diverso.

È un po’ come se qualcuno mi chiedesse perché non mi cucino i gatti che vivono con me…

Semplice: perché non mi passa neanche per la testa e non è un argomento.

 

Qualche mutamento importante, in questo senso, lo stiamo già avvertendo: il mercato dell’auto è in crisi anche perché noi (cioè il mercato) abbiamo deciso che, per un bel po’, invece di comprare la macchina nuova, ci sta bene quella che abbiamo già.

 

Il principio dominante, quindi, sarà: “solo se serve”, “solo se è utile”.

E la nostra soddisfazione non sarà subordinata solo al consumo (a volte banale e quindi inutile) delle merci.

 

Sviluppo senza crescita, quindi.

Qualcuno, o meglio, qualche patacca come me si chiederà: ma ci si divertirà uguale?

Credo proprio di sì.

Basta entrare nella logica – come dice Josè Mujica – per cui non è povero chi non ha nulla, ma chi ha bisogno di comprare tutto.

 

Il passaggio ha a che fare con il nostro approccio culturale: i modelli cambiano se l’estetica dominante cambia.

 

A proposito di estetica dominante…

 

Mi è sempre piaciuta la descrizione che ha dato Andrea Pollarini in merito alla differenza tra Tamarro e Coatto.

Ovvero: mentre il Coatto è consapevolmente “periferico”, brutto, rassegnato nel suo stile ai margini, il Tamarro ha la consapevolezza di far parte dell’estetica dominante, si vede bello e si sente destinato ai vertici della giungla che può solo premiare i migliori a sopravvivere.

 

Ieri, in un suo pezzo, Gramellini è stato, come suo solito, particolarmente efficace.

Il tema era l’arresto di Corona, il quale, con i Tamarri ci azzecca un bel po’.

 

Scrive Gramellini: “Corona ha aderito in toto al sistema a cui appartiene, fino alle conseguenze più parossistiche”.  Corona ci induce “a rivalutare le conquiste materiali della società dei consumi”. E “ce le rivela per quello che sono: fiori sfavillanti nel vuoto, destinati ad appassire se non ci decidiamo a riempire quel vuoto”.

 

L’arresto di Corona può rappresentare la fine di quell’estetica dominante.

Per accelerare il processo, forse servirebbe un gesto eclatante…

E io ho un’idea: proporrei un monumento al Tamarro.

Fossi il Sindaco di Riccione, lo commissionerei (spending review permettendo) a Cattelan: sarebbe il segno della fine di un’epoca.

 

25 gennaio 2013

 

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