Queste ultime settimane ci hanno mostrato tutta una serie di eventi mediatici straordinari.
Dal matrimonio dei Reali d’Inghilterra, alla Beatificazione di Giovanni Paolo II, all’uccisione di Osama Bin Laden.
In rete, ma diciamo pure sui media in generale, oltre alle analisi geopolitiche, abbiamo avuto occasione di leggere ed ascoltare interessanti commenti, considerazioni ed analisi di vari massmediologi che hanno alimentato il dibattito anche sul piano della fenomenologia mediatica che tali eventi generano.
Ma per gli appassionati italiani di strategie di marketing e per gli eventologi, è stato probabilmente qualcos’altro che ha maggiormente attirato la loro attenzione.
Infatti, il 29 aprile scorso abbiamo avuto la fortuna di assistere e vivere in diretta – chi anche con conseguenze fastidiose – l’operazione di marketing al momento più interessante ed efficace degli ultimi anni.
Avete capito a cosa mi riferisco?
Vi lancio un aiutino…
Siamo ad Arezzo…
Fuochino?
Macché fuochino: fiamme vere!
Stiamo parlando dell’incendio che ha fermato Aruba.
Aruba, fondata nel 1994, è al primo posto non solo in Italia, ma anche nella Repubblica Ceca e nella Repubblica Slovacca per numero di siti in hosting e di domini registrati.
Complessivamente ha 1.650.000 domini registrati e mantenuti, 1.250 siti attivi in hosting, 5.000.000 caselle e-mail gestite, oltre 10 mila server gestiti, 3000 metri quadri di data center.
Questi dati, pescati dal sito dell’Ansa, parlano da soli.
Uno specchio della forza di Aruba è anche la campagna televisiva in programmazione da diversi mesi sui canali nazionali.
Eppure mi sento di affermare che è stato quell’incendio che è riuscito nel modo migliore a dimostrare la forza e la potenza di Aruba.
Chi non aveva idea della sua importanza e di quanto Aruba sia coinvolto nella vita di milioni di Italiani, il 29 aprile ne ha avuto la riprova.
Quelle fiamme, del tutto accidentali, hanno rappresentato la migliore strategia possibile per il decollo di visibilità del brand.
Oggi Aruba è un marchio al top: verificatelo, se li conoscete, con i diretti interessati.
Anche la modalità dell’informazione sull’incendio ha rispecchiato le tecniche virali di comunicazione che stanno andando tanto di moda.
La notizia dell’incidente infatti è stata inizialmente lanciata dalla rete, attraverso i vari portali e blog del settore informatico, quelli collegati con i vari “smanettoni” del web.
Da lì, viralmente, la notizia si è sparsa in poche ore fino ad arrivare alle home page di Repubblica.it e Corriere.it, con le agenzie di stampa che lanciavano aggiornamenti e dati catastrofici ogni 5 minuti.
Poi si è attivati ai titoli dei TG serali.
In meno di 20 ore si è consumato un percorso mediatico da manuale, a mio parere da studiare bene, per conservarla come case-history specchio dei nostri tempi.
Ovviamente anche gli studiosi dei nostri comportamenti quotidiani (sociologi, etc) hanno avuto un ulteriore elemento di prova di quanto siamo condizionati dai nuovi strumenti comunicativi.
Ecco quello che riportava quel giorno il sito di Wired…
Sono oltre un milione e mezzo i domini italiani gestiti da Aruba. E cinque milioni le caselle di posta elettronica a esso collegate. Si può parlare, senza peccare di sensazionalismo, di una parte consistente del Web italiano, che questa notte ha rischiato di andare letteralmente in fiamme. Tutt’ora sono numerosi i portali inaccessibili e gli utenti che lamentano sui social network l’impossibilità di accedere alle proprie caselle di posta. Per alcuni un giorno di vacanza inatteso, per altri un vero e proprio disastro, per tutti la consapevolezza di quanto un crollo del genere condizioni il quotidiano di tutti noi.
Gli amici veri esperti di marketing (non gli empirici come me) che mi stanno leggendo potranno obiettare che più che di strategia, si è trattato di “culo”…
È vero: il marketing è programmazione, pensiero, strategia, cura dei dettagli…
Eppure nel mio cuore non riesco ad accettare questa cosa.
Il marketing mi appassiona in quanto dimostra spesso di non essere una scienza esatta.
Basta pensare che alcune delle più interessanti case-history che ne hanno condizionato la dottrina, nascono da avvenimenti casuali.
Ciò che ci insegna Aruba è che per far sentire la propria importanza, a volte può essere decisivo far capire al cliente cosa significa quando tu vieni a mancare.
L’incendio, assolutamente accidentale, ha dato modo ad Aruba di far percepire il “senso” e la misura ai suoi numeri.
Inoltre ritengo che per molti sia stato un brusco (e utile) incontro con la realtà: soprattutto per i nostri figli.
È da forse 20 anni che le “camerette” dei nostri figli sono dotate di una tecnologia più elevata di quella che aveva a disposizione la Nasa ai tempi dell’Apollo 11.
Forse i nostri ragazzi si sono accorti che tutto il mondo che ruota attorno a loro (a portata di mouse) può crollare e andare in cenere.
Mentre noi adulti?
Assuefatti e nauseati dalla globalizzazione e dalle bolle che si gonfiano e poi scoppiano, non facciamo più caso ai numeri, che siano milioni o miliardi
Ed è stato l’incendio a farci capire che bloccare “appena” 5 milioni di caselle di posta significa bloccare una nazione.
Lo scenario aperto dall’incedente di Aruba ha anche avuto il merito di ufficializzare che c’è chi ha veramente paura di quanto stia succedendo.
Citando il forum di espresso.it…
Il prossimo G8 su Internet voluto dalla Francia parlerà di cloud, sicurezza, privacy nell’era degli utenti Always On (sempre connessi). Sempre la Francia ha varato il Consiglio Nazionale del Digitale: “Ho voluto riunire diverse personalità competenti sull’Internet francese, per la maggior parte imprenditori, perché il governo possa avere una prospettiva interna al settore” dichiara Nicolas Sarkozy.
E ancora…
Mentre gli utenti di Aruba sono stati con il fiato sospeso durante il rogo, altri utenti, quelli di PlayStation Network, hanno tremato per ben 6 giorni preoccupati sui dati delle loro carte di credito…
Qual è la lezione Internet di questi black-out? si chiedono gli utenti del web.
Il “continuo proliferare di manifestazioni di fragilità delle reti tecnologiche complesse“, in cui collassano intere comunità di milioni di utenti, è un problema su cui riflettere, proprio in una fase storica che vede il “preoccupante” passaggio dal de-centramento alla centralizzazione nelle mani di pochi player.
Chi aveva paura di annoiarsi in questo Pianeta, per il prossimo decennio avrà modo di ricredersi.
Sta cambiando la formula del potere, che disponi di nuovi strumenti: gli algoritmi.
Nel mio piccolo, mi accontento di riflettere su quali armi dovranno adottare i nuovi e futuri rivoluzionari.
Pier
11 Maggio 2011